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In Europa serve uno scatto federalista

Scritto da Patrizia Toia.

Intervista di Affaritaliani a Patrizia Toia.

Tante sono state le sfide di questi ultimi anni, dalla pandemia, alla guerra in Ucraina, fino al nuovo conflitto in Medio Oriente. L’Europa, secondo lei, è riuscita a dare delle risposte comuni?

Questa è stata una legislatura eccezionale e non c'è dubbio che l'Europa è stata all'altezza della situazione, dando risposte comuni ed efficaci sui vaccini per uscire dalla pandemia, sulla risposta all'aggressione di Putin, sulla crisi economica con il piano Next Generation Eu e sulla crisi energetica, con il piano Repower Eu, di cui mi sono occupata personalmente.
Però, parafrasando la frase di Churchill sui Balcani, si potrebbe dire che in questi anni l'Europa ha prodotto più storia di quanta ne possa digerire. Di fronte alle tante emergenze abbiamo fatto per necessità quello scatto federalista che noi chiediamo da anni e varato misure estemporanee per supplire alla mancanza di una vera Unione della Salute, di una Difesa comune, di una Politica estera comune, di una vera Unione economica e sociale e di un'Unione dell'energia. La prossima sarà una legislatura costituente e dovremo “digerire” tutte queste novità costruendo un quadro istituzionale riformato e al passo con i tempi. In sostanza dovremmo rendere ordinaria la straordinarietà.
L'Europa sta cercando di prendere delle posizioni comuni in temi centrali della nostra attualità come l'intelligenza artificiale e la transizione verde. Con l’Ai Act e il Green Deal si stanno dando delle risposte?

Più che “sta cercando di prendere posizioni comuni” credo che sarebbe più corretto dire che l'Europa ha preso posizioni comuni e già varato legislazioni innovative su temi di fondamentale importanza per il nostro futuro, come l'intelligenza artificiale e la transizione verde. L'Unione europea, che spesso viene descritta come debole e marginale, in realtà su questi temi sta guidando il resto del mondo, con il doppio vantaggio di poter mantenere un vantaggio competitivo al livello economico e di modellare il futuro sulla base dei nostri valori che mettono al centro la persona, i diritti e la sostenibilità sociale e ambientale. Come ha illustrato bene il saggio “The Brussels Effect”, nei nostri dibattiti nazionali tutti incentrati sui costi locali dei cambiamenti e sulla difficoltà di applicare le regole non ci rendiamo conto dell'influenza enorme che hanno a livello mondiale le normative che si decidono a Bruxelles e dei vantaggi che questo comporta per i cittadini europei.

Dopo tutta la sua esperienza, cosa le hanno insegnato questi anni da europarlamentare? C’è ancora spazio per quello che lei stessa, durante i suoi incontri pubblici, definisce il “sogno europeo”?


Questi anni mi hanno insegnato soprattutto l'umiltà. Il sogno europeo non è una marcia trionfale di bandiere e slogan, ma è fatto di tanto lavoro concreto, di pragmatismo, di compromessi a volte difficili, di dossier tecnici, di riunioni a volte molto lunghe, come quella per chiudere la legislazione sugli stoccaggi di gas finita all'alba, e della capacità di ascoltare tutti senza pregiudizi e senza pensare di avere la verità in tasca. Al Parlamento europeo le divisioni ideologiche si incrociano con quelle nazionali, con gli interessi privati e quelli di tanti e differenti livelli istituzionali. Ci vuole tanta passione europeista ma ne vale la pena, perché è soprattutto in Europa che si può fare la differenza per migliorare la vita dei cittadini italiani ed europei.
Cosa c'è in ballo con le elezioni di giugno? Quali idee di Europa sono a confronto?

Nel 2019 le elezioni europee sono state una scelta tra euroscettici freschi dell'esempio della Brexit ed europeisti. Hanno vinto i secondi ed è stato un bene, perché l'Europa è riuscita ad affrontare tutte le emergenze di questi cinque anni che abbiamo ricordato prima. Oggi, di fronte all'evidenza delle necessità dell'Unione europea e di fronte allo spettacolare fallimento della Brexit, nessuno osa mettere più in discussione l'appartenenza dell'Unione europea, ma i protagonisti politici non sono cambiati né la loro mentalità. Basti pensare che i leader politici di due componenti della maggioranza di governo che chiederanno il voto alle elezioni europee sono Salvini, che andava in tv con la felpa “Basta euro”, e Meloni, che nella scorsa legislatura del Parlamento italiano ha presentato un disegno di legge di modifica costituzionale per abolire la priorità del diritto comunitario su quello italiano che, se approvato, avrebbe fatto saltare tutta l'integrazione dell'Ue rendendo inapplicabili tutte le normative europee. Oggi queste forze si accontentano di proporci un'Europa delle piccole patrie sovraniste, bloccata dai veti nazionali, col freno a mano tirato su tutti i dossier importanti, dall'unione economica a quella sociale. Il contrario della legislatura costituente che vuole il Partito Democratico e le forze europeiste per riformare l'Ue in senso federalista e rendere stabili e più efficaci tutte le misure di emergenza che siamo riusciti a prendere in queste cinque anni, a cominciare dal piano Next Generation Eu, e rendendo possibili quelle che non siamo riusciti a prendere. Alla fine, si tratta di scegliere se andare a avanti o andare indietro, perché restare fermi, come propongono i sovranisti, in un mondo che si è messo a correre è una pericolosa illusione.
Cosa ne pensa delle liste presentate dal PD? Ci sono sia europarlamentari che persone della società civile anche molto diverse tra di loro come Tarquinio e Strada. Scelta vincente?


 Penso che la composizione delle liste rifletta il grande valore del Partito Democratico, che nel panorama politico italiano è l'unico ad essere un vero partito strutturato, organizzato e plurale, ma con la capacità di aprirsi alla società civile, senza perdere il capitale di competenze accumulato in Europa. Tarquinio e Strada non sono due nomi ad effetto per rastrellare voti, ma persone di grande spessore, preparate e competenti che portano in dote una grande esperienza civile, destinate ad arricchire il dibattito interno al Pd ben oltre le elezioni europee.

La segretaria Elly Schlein correrà da capolista nelle circoscrizioni di Centro e Isole. Fanno bene, secondo lei, leader come la segretaria, Meloni e Tajani a candidarsi pur sapendo che non potranno ricoprire quel ruolo? Non è fuorviante per gli elettori?



Penso che abbiamo perso troppo tempo a discutere di questi dettagli e troppo poco delle vere scelte che devono compiere gli elettori nelle urne. Ogni scelta è legittima. Personalmente preferisco un partito che si presenta come una squadra, ma mi rendo conto anche che oggi la politica è ipermediatizzata e personalizzata e bisogna fare i conti con questa realtà.


A proposito di partito come squadra, la segretaria ha ritirato la proposta di inserire il suo nome nel simbolo del partito. Scelta che aveva suscitato malumori interni anche da parte di Prodi e Bonaccini. Dimostra che il PD non è un partito "personale", al contrario ad esempio di Lega e Fratelli d’Italia?


Oltre a ribadire che queste dibattiti sono un po’ fuorvianti rispetto alle scelte difficili che dovrà fare l'Europa, aggiungo che sì, il Pd è l'unico vero partito plurale e non personale. Ed è bene che si presenti sempre con questa caratteristica.

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