L’artista, lo Stato, il mecenate: l’incontro con Dario Franceschini alla Milanesiana

di Piergaetano Marchetti

L’incontro del 30 giugno 2021 tra Piergaetano Marchetti e Dario Franceschini, ministro dei Beni culturali, alla Milanesiana

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Pubblichiamo qui il dialogo tra Piergaetano Marchetti e il ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi che si è tenuto il 30 giugno 2021 a «La Milanesiana», la rassegna ideata e diretta da Elisabetta Sgarbi.

Piergaetano Marchetti – All’interno degli incontri dedicati al Diritto dalla Milanesiana di Elisabetta Sgarbi, la cultura ha piena cittadinanza, come diritto fondamentale riconosciuto dall’articolo 9 della Costituzione. I dati dell’ultimo rapporto GfK sulla lettura e il libro in Italia si correlano ai dati dell’AIE di marzo e aprile che indicano, tra l’altro, che il numero dei lettori sarebbe aumentato nell’anno della pandemia di 3-4 punti. Abbiamo dei segni strutturali di ripresa per il mercato del libro?

Dario Franceschini - Credo sia davvero un po’ presto per capire se sono dati strutturali che indicano un’inversione di tendenza dopo anni che si registrava un segno meno nella vendita dei libri in Italia. Tutti dobbiamo lavorare perché questo avvenga, a partire dalle risorse pubbliche per l’emergenza alla lettura. Abbiamo rinnovato l’App 18 che all’80% viene usata per comprare libri, e il resto in concerti, musica, mostre. Abbiamo inserito delle misure per l’emergenza, alcune anche particolarmente innovative come la misura che ha stanziato prima 30 milioni poi altri 30 per gli acquisti di libri da parte di biblioteche pubbliche, purché avvenissero in librerie di prossimità nel territorio.

PM - La modalità di lettura cambieranno dopo la pandemia?

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FD - La pandemia, il lockdown, le misure ristrettive sono entrate prepotentemente nelle vite individuali e collettive di tutto il mondo, in modo prepotente e dirompente. Chiusa questa fase, che speriamo si chiuda il prima possibile, la rottura è stata talmente profonda che resteranno alcuni segni di cambiamento strutturale? Io penso di sì. Penso per esempio che nella vita delle persone grazie al lockdown è entrato il valore della casa, dell’abitazione; è entrato il silenzio; è entrato il tempo, ore di tempo disponibili. E sicuramente tutti questi elementi sono elementi che dovrebbero avvicinare stabilmente alla lettura e al libro. E dovremo lavorare per questo, perché questo dato è in controtendenza rispetto al resto dell’Europa: mentre l’Italia cresce del 3,3%, altri paesi con tassi di lettura molto più forti calano, eppure il lockdown c’è stato dappertutto, le misure restrittive ci sono state dappertutto.

PM - Da giurista vorrei passare al punto di vista del produttore di opere culturali, anziché del fruitore, e chiederle che giudizio lei dà su come l’Italia si stia accingendo a recepire la direttiva europea sul diritto d’autore, che in sostanza dovrebbero “costringere” i grandi aggregatori di dati, da Google in avanti, a stipulare accordi per una retribuzione di tutto quello che è coperto dal diritto d’autore

DF - Il tema è di grande importanza perché l’incrocio fra tutela del diritto d’autore ed era digitale ha portato una serie di sfide assolutamente nuove e con le parti in rapporti di forza totalmente squilibrati tra di loro. Dentro questo schema, l’Italia si è schierata storicamente insieme alla Francia e altri paesi per la difesa del copyright e del diritto d’autore in modo molto fermo e ha sostenuto la battaglia nel Parlamento Europeo. Ci sono due estremi che paradossalmente rischiano di incontrarsi: da un lato chi ha una posizione dominante per ragioni economiche vuole mantenerla; dall’altra chi ha mitizzato l’utilizzo della rete come luogo gratuito in buona fede, dimenticando che la gratuità significa limitare la liberà di creazione degli autori, perché gli autori vivono con il diritto d’autore. Questa è una battaglia sacrosanta che va percorsa fino in fondo: le norme devono difendere i più deboli, i forti non hanno bisogno delle norme per essere difesi.

PM - Siamo nel boom della transizione digitale, in che modo questa può aiutare la diffusione del nostro patrimonio culturale, e quali sono i rischi?

DF - Bisogna accettare l’innovazione, sapendo che l’obiettivo è sempre quello di allargare il numero di persone che accedono a contenuti culturali. Quando partirono le televisioni commerciali si pensò che avrebbero distrutto le sale cinematografiche, in realtà in molti casi sono diventate un vettore di produzione cinematografica; lo stesso accadde quando è partita la piattaforma Netflix, che in realtà potrebbe rivelarsi un meccanismo di allargamento della platea. Uno strumento se serve ad allargare il numero dei lettori o la raggiungibilità dei potenziali lettori, deve porre per forza l’alternativa mors tua vita mea? Le innovazioni vanno gestite con le regole, con la tutela dei più deboli – noi stiamo adottando per esempio molte misure a favore delle piccole librerie storiche – ma non bisogna temere le innovazioni. Lo stesso vale ad esempio con le opere digitali: possono diventare un’operazione di finanziamento e di entrata per i musei, che hanno la possibilità di offrire copie certificate come autentiche, come una litografia in passato.

PM – La cultura è un volano per il comparto turistico, o rischia di esserne cannibalizzata?

DF - Io nel governo precedente avevo entrambe le deleghe, cultura e turismo. È fin troppo facile dire che in Italia le due cose sono profondamente legate, perché in Italia la condizione di competitività che nessun altro paese può offrire è l’aggiunta del patrimonio culturale: vado al mare ma a pochi chilometri di distanza ho lo splendore di una città d’arte o di un borgo o di un altro museo. Non credo che una cosa danneggi l’altra. Il turismo porta risorse per la tutela del patrimonio culturale, per la sua valorizzazione, spinge a valorizzare luoghi minori Taleb Rifai, che era il segretario dell’Organizzazione Mondiale per il Turismo, una volta ha detto: “la cultura è l’autore, il turismo è l’editore”. Le due cose sono legate, non sono in contrapposizione. Naturalmente parliamo di un turismo sostenibile, rispettoso della fragilità del nostro patrimonio, che può essere un elemento di ricrescita del paese.

PM – La transizione ecologica evidenzia alcuni conflitti tra i beni ambientali e, paradossalmente, i beni ambientali. L’esempio fin troppo noto è quello delle pale eoliche o dei tetti che abbandonano i vecchi coppi per i pannelli luccicanti che catturano l’energia solare. È possibile che un intento molto apprezzabile collida con un altro obiettivo così importante?»

DF - La tutela del nostro pianeta, dell’ambiente, la transizione ecologica, sono obiettivi di tutto il paese e devono essere raggiunti nel rispetto della tutela del paesaggio e del nostro patrimonio. È possibile l’equilibrio? Io dico sì, è possibile. Nel decreto semplificazioni abbiamo introdotto alcune misure che favoriscono le scelte verdi, ma non tolgono assolutamente il principio di tutela del paesaggio. Gli impianti devono essere installati in modo intelligente e nelle aree non vincolate paesaggisticamente, con tutte le autorizzazioni necessarie. E penso che le tecnologie ci aiuteranno a diminuire l’impatto, senza rinunciare a questa grande sfida ecologica.»

PM – Cito spesso il titolo di un libro degli anni Cinquanta di Carlo Levi, “Il futuro ha un cuore antico”, e mi chieso se una memoria digitale sia davvero garantita. Le faccio un esempio. Nella redazione del Corriere della Sera abbiamo tutte le lettere e gli appunti dei vari direttori. Oggi sono diventate tutte mail, la cui archiviazione è più imprevedibile. Personalmente ero giunto a ipotizzare che le imprese sensibili culturalmente dovessero nominare un responsabile della memoria, che curi la conservazione dei file e faccia sì che non si disperda la memoria. Credo che avere un futuro senza memoria sia una cosa terribile, e vorrei sapere come la politica pensa di fare fronte a questo rischio.

DF - È un grande tema. Nell’ultima riforma del Ministero abbiamo scelto di creare una digital library, che raccoglie tutte le strutture del Ministero che si occupavano della conservazione della memoria, dagli archivi alle biblioteche, alle sovrintendenze, un patrimonio sconfinato che nessuna fondazione privata potrà nemmeno immaginarsi. Sicuramente la prima sfida è digitalizzare il patrimonio esistente e la digital library ha avuto 500 milioni in dotazione nel recovery fund. L’altra grande sfida è questa che lei ha posto. Le nostre mail, quando si cambia telefono o computer dove finiscono? Vengono dimenticate. È una sfida che non è solo italiana ma sulla quale dobbiamo assolutamente accelerare perché questo patrimonio non venga disperso.

PM - Il mecenatismo oggi: come facciamo a incentivare la collaborazione dei privati? Solo con strumenti fiscali, su cui lei ha fatto moltissimo? Come riusciamo a far capire alle imprese stesse che l’investimento in cultura può essere un investimento con un ritorno anche economico?

DF - Nel 2015 abbiamo introdotto un incentivo fiscale molto forte che ha portato a circa mezzo miliardo di donazioni allo stato, ma non è abbastanza. Dovrebbe entrare nella cultura delle imprese italiane – soprattutto delle grandi imprese – il concetto di give back, di restituzione al loro paese: Se tu nel mondo vendi un prodotto, anche se sono pantaloni o cibo o vino, lo vendi perché dietro c’è l’Italia, dietro quel prodotto vendi anche in qualche modo la bellezza italiana, la storia italiana, l’arte italiana, i saperi italiani, quindi hai un vantaggio che in qualche modo devi restituire al paese. Ma questa non è una battaglia di norme, è una battaglia morale e sociale che possono condurre tutti. Vorrei si arrivasse al momento in cui nella valutazione del bilancio di un’impresa ci fosse anche quanto ha fatto per la cultura.

PM - Questo legare cultura e sviluppo economico credo che sia un compito meraviglioso e difficilissimo in cui tutti ci sentiamo impegnati e lei in primissima linea. La ringrazio.

1 luglio 2021 (modifica il 1 luglio 2021 | 14:46)