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Fare di più per il rispetto dei diritti umani

Scritto da Paolo Petracca.

Paolo PetraccaIntervento di Paolo Petracca svolto alla videoconferenza "Missione in Libia e impegno per i diritti umani" (video).

Penso che Fassino sia una delle persone più competenti in Italia in tema di politica estera, anche per una sua storia pluriennale.
Secondo me, la ricostruzione geopolitica che Fassino ha fatto è estremamente corretta.
Quello che lascia insoddisfatte le forze della società civile che da alcuni decenni animano il movimento per la pace e che sono anche molto impegnate in prima linea nel salvare le vite nel Mediterraneo non è tanto il fatto che il Governo o il Parlamento abbiano esercitato il principio dell’etica della responsabilità di fronte ad una scadenza di fronte alla quale avrebbero dovuto dire sì o no.
L’insoddisfazione molto forte è dovuta a ciò che non si è riusciti a fare in questi anni.
La situazione che ha raccontato Fassino non si è creata nell’ultimo mese e non ci siamo trovati di fronte ad un’emergenza. Che il Mediterraneo sia diventata una zona di enorme instabilità politica è sotto gli occhi di tutti. Si sa che i rapporti tra Europa e Africa e il tema delle migrazioni e dell’impatto demografico che si avrà nei prossimi anni, ma anche il tema della cooperazione internazionale non hanno fatto passi avanti che sarebbero stati necessari per non trovarci in questa situazione di emergenza e di debolezza. Queste sono le obiezioni di fondo.
Tra le persone ragionevoli che studiano e che conoscono le cose penso che nessuno possa dire che noi siamo quelli che dicono che tutelano i diritti umani dei 600mila sfollati e rifugiati che ci sono nei campi in Libia mentre chi vota il rifinanziamento delle missioni no. Questo lo lasciamo a “non dibattiti” in altri luoghi.
È del tutto evidente, però, che noi in questi quattro anni non abbiamo fatto dei grossi passi in avanti.
I corridoi umanitari, ad esempio, sono un tema che il mio mondo e il mio pezzo della società civile mettono in pratica direttamente. Il nostro modo di porci è quello di provare ad indicare la strada dando anche l’esempio, quindi, non proponiamo i corridoi umanitari senza provare a farli.
Le nostre organizzazioni, comprese le Acli, si sono fatte carico anche di un pezzettino di questa sperimentazione per mostrare che questo è possibile. Lo ha fatto pure il Santo Padre direttamente a Lesbo.
Il tema è che questa vicenda dei corridoi umanitari, come giustamente diceva Fassino, è una questione di cui bisogna fare in modo che l’Unione Europea se ne prenda carico. È l’Italia, però, che ha l’obbligo di porre tutto il proprio peso politico affinché questa cosa succeda. Noi veniamo da giorni in cui il Governo italiano e il nostro Premier sono riusciti a farsi valere e a far sentire la propria voce nella vicenda molto importante per la crisi mondiale che stiamo vivendo che non è più solo sanitaria ma è anche economica. In questi anni, invece, non siamo riusciti indubbiamente a creare dentro l’Unione Europea la convinzione che questi corridoi umanitari fossero necessari e divenissero un programma europeo massivo.
Probabilmente, anche solo minacciare di non continuare i programmi che stiamo portando avanti, verso l’Unione Europea sarebbe importante affinché si sveglino.
Non siedo in Parlamento, rappresento un’organizzazione della società civile e conosco la differenza tra l’etica delle responsabilità di chi deve poi assumere delle decisioni e l’etica della profezia. L’etica della profezia nella società civile serve per indicare una strada. Non possiamo non premere affinché la politica estera del nostro Paese e del nostro continente muti radicalmente, mettendo la questione dei diritti umani al centro, così come la questione della redistribuzione della ricchezza e cercando di smascherare il pregiudizio che c’è sulle migrazioni, quando invece l’Europa ha fame di migranti, anche solo per ragioni demografiche e al posto di far soffrire le persone sarebbe utile riuscire a trovare un sistema diverso.
Le persone che poi passano attraverso le torture dei lager libici e non sempre riescono ad arrivare nel nostro Paese spendono migliaia di euro per fare questo. Vuol dire che se noi facessimo una politica estera come Unione Europea di cooperazione internazionale come si deve, probabilmente riusciremmo a far arrivare da noi queste persone inserendole in contesti virtuosi “allo stesso prezzo”. Di questo non si parla mai.
Sono stato in Svezia, l’anno prima delle elezioni che hanno poi riconfermato il Governo di centrosinistra-ambientalista che reggeva il Paese, e ho visto che su 9 milioni di abitanti hanno fatto entrare 600mila persone con gli accordi bilaterali della cooperazione internazionale, soprattutto dall’Africa, imparando la lingua già nei Paesi di origine e arrivando a soddisfare il fabbisogno delle industrie che hanno necessità di lavoratori e trovando addirittura delle soluzioni abitative precedentemente in una regione che nella sua concentrazione al Sud del Paese è grande come la Lombardia.
È possibile affrontare tutte queste dinamiche, da quella migratoria a quella della cooperazione internazionale, nel rispetto dei diritti umani, in un’altra maniera. Noi siamo qui a dimostrarlo. Ci sono degli esempi.
Dobbiamo avere la forza come Paese di far diventare questa una politica europea e lo possiamo fare perché siamo quelli che pagano il prezzo più alto.
A me non pare che si sia riusciti a far capire questa emergenza, dal Ministro Di Maio ai Ministri degli ultimi anni, nonostante l’impegno dei nostri Governi prima di tutto all’interno dell’Unione Europea.
Noi, invece, chiediamo che questo venga fatto e che quando ci sono occasioni determinanti come quella del voto in Parlamento, la si usi come fanno tanti altri Paesi dell’Unione anche come un’arma di pressione.
Non è, quindi, una posizione in cui si dice che i lager libici li sostiene il Partito Democratico. Questa è una follia.
Lo stesso disastro l’Unione Europea l’ha fatto con l’accordo con la Turchia rispetto ai profughi della guerra in Siria.
Non possiamo pensare di continuare a tamponare questi fenomeni facendo accordi con autorità fragilissime, dove in alcuni casi c’è anche una provata connivenza tra la guardia costiera libica e i torturatori.
È evidente che non si può continuare così e questo morde la coscienza di ogni persona civile e dobbiamo fare di tutto per fare in modo che questo non accada oggi o non accada domani ma ci vuole una tensione e una volontà politica e una spinta tale affinché queste cose cambino, che è quella che dobbiamo dare dal basso come società. La gente che viene torturata o che muore ci chiama a una parte di corresponsabilità.
Ce lo ricordano un eurodeputato del PD che viene dall’esperienza della Comunità di Sant’Egidio e le parole di Andrea Riccardi, che è stato anche Ministro della Cooperazione Internazionale in Governi precedenti e non un semplice militante della società civile. Il dottor Bartolo, che è stato medico a Lampedusa, racconta storie incredibili. Noi vogliamo che quelle storie e quelle sofferenze, che possono essere evitate con l’intelligenza della politica italiana, europea e africana, non succedano più.
È chiaro che lo scacchiere è complicatissimo ma noi dobbiamo avere una grande offensiva da parte della politica, non soltanto su questa questione ma con un progetto dell’Italia e dell’Europa verso l’Africa e verso il Mediterraneo che, se non lo facciamo in modo lungimirante, ne pagheremo le conseguenze sia in termini di vite umane ma anche in termini di consenso interno, perché poi i populismi che sono un avversario temibilissimo da sconfiggere nelle nostre società, su queste semplificazioni ci giocano e lucrano politicamente. Abbiamo bisogno di un cambio di passo gigantesco nel modo di intendere i rapporti non solo con la Libia ma anche con l’Africa e con il Mediterraneo e abbiamo bisogno di tantissime energie.
Capisco che nelle crisi la gente guarda ai propri ombelichi ma a furia di guardare ai propri ombelichi siamo circondati da una situazione di instabilità politica enorme sulla riva Sud del Mediterraneo e in Africa e prima o poi avrà conseguenze molto più ampie di ciò che può controllare la Guardia Costiera libica.
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