Stampa

Combattere le mafie in tempo di crisi

Scritto da Franco Mirabelli.

Franco Mirabelli Intervento di Franco Mirabelli alla Festa Nazionale dell'Unità a Modena (video).

Innanzitutto vorrei ringraziare il Ministro Lamorgese, non tanto per la presenza alla Festa Nazionale dell’Unità, ma soprattutto per l’equilibrio, la competenza e l’umanità con cui sta gestendo una fase difficilissima della vita di questo Paese e sta fronteggiando anche polemiche assolutamente inaccettabili che continuano a venire da chi invece dovrebbe farsi carico dei problemi concreti, insieme alla maggioranza e insieme al Governo.
Secondariamente, guardando ai decreti approvati in questi mesi, penso che siano stati importanti rispetto al tema che stiamo affrontando perché, come hanno spiegato il Ministro Lamorgese e il magistrato Alessandra Dolci, ci troviamo di fronte a dei rischi.
Il primo che la mafia si sostituisca al welfare se lo Stato non è in grado di dare risposte a chi in questi mesi ha perso il reddito o è in difficoltà e con i decreti abbiamo provato a farlo, garantendo la cassa integrazione, i bonus e una serie di altre misure, che non sono risolutive però comunque quel fronte è stato affrontato.
L’altro fronte è quello delle imprese.
Alessandra Dolci ha detto ciò che ci diciamo spesso e che viene riportato anche nella Relazione conclusiva della Commissione Parlamentare Antimafia della scorsa Legislatura e che in Emilia è una cosa nota: le mafie si sono insediate al Nord e lo hanno fatto con la finalità di aggredire l’economia legale e mettono in campo le risorse economiche che hanno per aggredire l’economia legale.
È evidente che in tempo di crisi è ancora più un pericolo il fatto che la criminalità organizzata metta risorse a disposizione delle imprese e delle aziende e, quindi, bisogna fare un lavoro di prevenzione su questo.
Una parte di questo lavoro è stato fatto.
Al Senato abbiamo recentemente votato il Decreto Semplificazioni che ha dentro una logica diversa da quella che ci veniva proposta.
Avevano detto che bisognava fare in fretta gli appalti e per farlo bisognava sospendere il Codice Antimafia e il Codice degli Appalti, cioè in nome dell’economia bisognava abbattere le regole e le tutele di legalità, mentre invece abbiamo fatto il contrario: abbiamo provato a coniugare l’esigenza di fare in fretta mettendo in campo anche misure di tutela rispetto all’antimafia, adeguate al tempo in cui siamo.

Il covid, inoltre, ha prodotto un giusto allarme all’interno delle carceri.
La preoccupazione che abbiamo avuto tutti era quella di fare in modo che il covid non entrasse in carceri sovraffollate e che le persone più a rischio per la salute non venissero a contatto con il virus.
Abbiamo, quindi, fatto un decreto con cui veniva stabilito che chi aveva ancora da scontare una pena entro i 18 mesi, se non c’erano controindicazioni particolari, poteva essere messo agli arresti domiciliari (non liberato).
Quel decreto negava, però, gli arresti domiciliari ai boss, ai condannati per reati da regime di 4 bis in alta sicurezza e ovviamente per quelli al 41bis.
Sulla base del decreto il DAP ha fatto una circolare che io difendo perché dice ai direttori di segnalare le persone che sono in condizioni di salute tali da poter subire gravi conseguenze nel caso venissero a contatto con il covid.
Non ha funzionato il fatto che la Direzione penitenziaria non è stata in grado, per le persone detenute in alta sicurezza e per quelli che vengono definiti “boss”, di garantire condizioni di salute parimenti al fatto che rimanessero in carcere.
Riina e Provenzano sono stati malati gravemente per molto tempo ma sono stati curati dentro alle strutture previste dal regime carcerario. Questa volta non è stato fatto e, quindi, la magistratura di sorveglianza ha applicato un principio di sicurezza della salute del detenuto e il risultato è che molti - anche condannati per reati di mafia, di cui 3 con il 41bis - sono stati messi agli arresti domiciliari (non liberati).
Abbiamo fatto un decreto per riparare a questo problema e che mettesse i magistrati di sorveglianza nelle condizioni di riconsiderare quella messa agli arresti domiciliari.
Quel decreto ha funzionato, così come ha funzionato la nuova amministrazione del DAP.
La notizia dei circa 110 presunti boss ancora agli arresti domiciliari è stata presentata come una notizia negativa ma, in Commissione Parlamentare Antimafia nei mesi dell’emergenza, si era arrivati a discutere di circa 700 boss agli arresti domiciliari.
Grazie al nuovo decreto, quindi, molti di questi presunti boss sono rientrati all’interno delle strutture carcerarie e questo vuol dire che il decreto funziona, mentre per chi è rimasto agli arresti domiciliari significa i magistrati di sorveglianza hanno ritenuto che fosse giusto per tutelare la salute.
Quel decreto, quindi, ha funzionato e bisognerebbe smetterla di fare una polemica pretestuosa che indebolisce lo Stato e dà l’idea che lo Stato abbia favorito i boss: non è così, non si sta facendo nulla di tutto questo.
Abbiamo cercato di riparare ad una situazione che oggettivamente era ispirata da un principio giusto, cioè il garantire la salute di tutti i detenuti, ma che ha portato a delle situazioni che oggettivamente andavano corrette e questo lo abbiamo fatto.

Video dell’intervento»

Non penso che l’Italia sia tutta pronta a vendersi alle mafie. Penso che ci sia uno Stato che combatte le mafie e ci sono le nostre forze dell’ordine e i nostri investigatori che insegnano al resto del mondo come si combattono le mafie.
Penso che il Ministro Lamorgese e il magistrato Alessandra Dolci abbiano detto una parola importante che è responsabilità.
Questa responsabilità penso che debba essere di tutto il quadro politico. Non lo è ma a me piacerebbe che almeno la politica si unisse alcune cose: innanzitutto a spiegare che la lotta alla mafia e alla criminalità organizzata è una priorità per il Paese e, quindi, non è accettabile dire di mettere da parte il Codice Antimafia in nome di altri problemi.
Inoltre, c’è un principio di legalità che dobbiamo difendere tutti.
Su questo, però, è evidente che c’è una dialettica e uno scontro.
Quando si ragiona su ricette economiche, c’è chi parte da condoni, dall’idea che le tasse non si devono pagare e diventa poi difficile ricostruire un’idea di legalità, di responsabilità e anche di senso dello Stato.
Rispetto alle cose che diceva Alessandra Dolci sul coinvolgimento delle imprese e dei professionisti in vicende che spesso riguardano la criminalità organizzata, emerge un punto: ci dobbiamo mettere in testa che la criminalità organizzata non si batte solo con il grande lavoro che fanno i magistrati come Alessandra Dolci o Cafiero De Raho e le forze di polizia.
E non basta neanche una politica capace di fare norme efficaci per contrastare la mafia.
Ci vuole uno sforzo collettivo e un’assunzione collettiva di responsabilità su questo.
Sono utili le cose su cui ha dato indicazioni in questi mesi il Ministro Lamorgese, cioè il costruire in ogni Prefettura dei tavoli in cui si coinvolgono nella lotta alle mafie le associazioni imprenditoriali, le associazioni dei commercianti, le associazioni dei professionisti e tutti quei soggetti che abbiamo bisogno di investire e di responsabilizzare, non solo per avere un quadro e avere anche da loro i riferimenti e gli alert su ciò che non va, su ciò che registrano rispetto alla concorrenza, segnalazioni su aziende che fanno cose che economicamente non tengono ma perché se esistono ancora organi intermedi (e forse dobbiamo rilanciarli) devono svolgere una funzione anche su questo; devono parlare a fondo dentro di loro di quali sono i rischi, quali sono i problemi e quale responsabilità si assumono gli imprenditori che accettano di avere un rapporto con la mafia perché ne beneficiano.
In Veneto ci sono state diverse inchieste e sia il Procuratore di Venezia che il Prefetto ci hanno fatto una battuta che mostra come ci sia un problema anche di costruzione di valori.
Il fenomeno della disponibilità degli imprenditori di fronte alle mafie è dato dal fatto che prima di tutto vengono i soldi. Se prima vengono i soldi significa che si è disposti anche a fare compromessi con la criminalità organizzata e la criminalità organizzata sfrutta anche questo.
Ora, in una fase totalmente nuova, la criminalità organizzata - che non va in giro con coppola e lupara - trova un terreno di coltura che le consente di diventare sempre più potente.
Una criminalità organizzata che rischia di inquinare l’economia legale con miliardi mette in discussione la nostra democrazia e di questo dobbiamo essere consapevoli tutti.

Video dell’intervento»

Video dell'intero incontro»

Per seguire l'attività del senatore Franco Mirabelli: sito web - pagina facebook

Pin It