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Le grandi città favoriscono la segregazione

Written by Il Sole 24 Ore.

Articolo di Il Sole 24 Ore.

L’idea comune è che chi “va in città” diventa cosmopolita, impara a conoscere il mondo e incontra persone diverse. Che i grossi centri urbani siano il luogo dell’incontro. I dati che oggi siamo in grado di raccogliere grazie ai GPS mostrano che non è così. Le grandi città favoriscono la segregazione, altro che melting pot. È più facile che gruppi sociali diversi non si mescolino in una grande città rispetto alla provincia.
Una domanda a cui la sociologia fatica a rispondere riguarda la mobilità sociale: quanto e dove si spostano le persone a seconda delle loro caratteristiche demografiche e socio-economiche: i giovani, le donne, le persone con redditi alti, i laureati, gli anziani, gli stranieri?
A gennaio 2024 Nature ha pubblicato i risultati di una ricerca che rimescola le carte fornendo una nuova misura della socializzazione che cattura la diversità socioeconomica, grazie ai dati sulla mobilità dei telefoni cellulari (GPS). Il database ha compreso 1,6 miliardi di incontri nel mondo reale tra 9,6 milioni di persone negli Stati Uniti, per 382 aree metropolitane e 2.829 contee. Risultato: la segregazione dell’esposizione a persone di gruppi sociali diversi è più alta del 67% nelle dieci grandi città più grandi rispetto città più piccole, quelle cioè con meno di 100.000 residenti.
Questo trend non vale solo per i giovani. I residenti di grandi aree cosmopolite sono meno esposti a una gamma di individui socioeconomicamente diversificata, e la maggiore segregazione socioeconomica nelle grandi città deriva dal fatto che queste offrono una maggiore scelta di spazi differenziati mirati a specifici gruppi socioeconomici. Questo effetto di aumento della segregazione viene contrastato quando gli hub di una città (come i centri commerciali) sono posizionati in modo da collegare quartieri diversi e quindi attrarre persone di tutti gli status socioeconomici. “I nostri risultati mettono in discussione una congettura di vecchia data nella geografia umana – scrivono gli autori -ed evidenziano come la progettazione urbana possa sia prevenire che facilitare gli incontri tra individui di gruppi diversi”.
Si tratta di un risultato che cozza con l’aspettativa secondo la quale aree grandi, dense e cosmopolite supportano la mescolanza socioeconomica e l’incontro tra individui appartenenti a gruppi sociali differenti. Valutare questa ipotesi è stato difficile – si legge – perché le precedenti misurazioni del mix socioeconomico si basavano su dati statici sugli alloggi residenziali piuttosto che su incontri nella vita reale tra le persone al lavoro, nei luoghi di svago e nei quartieri domestici. La segregazione economica di ciascuna regione geografica è misurata dalla correlazione tra lo status socioeconomico (SES) di una persona e quello medio di tutti coloro a cui è esposto in un certo percorso. La misura risultante della segregazione dell’esposizione varia da 0 (perfetta integrazione) a 1 (segregazione completa), ed è una generalizzazione di una misura di segregazione socioeconomica ampiamente utilizzata ad esempio nell’indice di ordinamento del quartiere, che è equivalente alla correlazione tra il SES di ciascuna persona e il SES medio di tutte le persone che vivevano in quella zona all’ultimo censimento. In questo studio invece non si sono utilizzati i dati del censimento e quindi la media della zona dove si risiede. La misura di segregazione qui calcolata è equivalente alla correlazione tra il SES di ciascuna persona e il SES medio di tutti le persone che incontrano quotidianamente, Pertanto, la differenza fondamentale tra queste due misure è che l’indice di ordinamento del quartiere presuppone che le esposizioni avvengano in modo uniforme e solo tra i co-residenti dello stesso tratto di residenza, mentre la segregazione dell’esposizione cattura le esposizioni nel mondo reale tra le persone mentre affrontano la loro vita quotidiana.
Le città forniscono un maggiore accesso a negozi, ai servizi pubblici e favoriscono l’incontro con altre persone, ma tale accesso può fornire minori benefici per gli abitanti delle città a basso reddito e ai giovani che non dispongono di denaro e mezzi di facile mobilità. Lo studio misura anche l’isolamento etnico ed economico dei giovani svantaggiati. È emerso che gli studenti che vivono nelle principali aree metropolitane statunitensi sperimentano un maggiore isolamento etnico e reddituale, trascorrono più tempo a casa, stanno più vicini a casa quando escono e visitano meno ristoranti e negozi rispetto agli adulti. Considerando i livelli di reddito, gli studenti provenienti da famiglie a reddito più elevato visitano più servizi, trascorrono più tempo fuori casa ed esplorano luoghi più unici rispetto agli studenti a basso reddito.
Gli studenti nel quartile di reddito più alto trascorrono circa il 5% in meno di tempo a casa e il 18% in più di tempo nel quartiere rispetto agli studenti nel quartile di reddito più basso. In secondo luogo, gli studenti più ricchi visitano luoghi più unici e tendono a viaggiare più lontano quando escono di casa. La relazione tra reddito e numero di località visitate è forte: gli studenti nel quartile di reddito più alto visitano il 54% di luoghi unici in più rispetto agli studenti nel quartile di reddito più basso, il quale rimane molto di più nelle vicinanze di casa propria.
Ci sono forti differenze in termini di reddito nel consumo da parte degli studenti di vari servizi locali, come ristoranti, negozi e parchi, anche rimanendo all’interno del proprio quartiere. Gli studenti del quartile di reddito più alto visitano il 57% in più di luoghi di intrattenimento rispetto a quelli del quartile di reddito più basso. L’impatto del reddito sulle visite ai parchi e ai ristoranti è minore, ma comunque ampio. Gli studenti nel quartile di reddito più alto effettuano il 35% in più di visite ai ristoranti e il 38% in più di visite ai parchi rispetto agli studenti nel quartile di reddito più basso.
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