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Le riforme per il PNRR: salute e benessere

Written by Piera Landoni.

Piera LandoniIntervento di Piera Landoni agli Incontri Riformisti a Eupilio (video).

L’Unione Europea ha risposto alla crisi pandemica con il “Next Generation EU”, che prevede investimenti e riforme volte ad accelerare la transizione ecologica e digitale, a migliorare la formazione di lavoratrici e lavoratori, a conseguire una maggiore equità di genere, generazionale e territoriale e che rappresenta una grande opportunità di sviluppo e di crescita per l’Italia, dal momento che da sola è beneficiaria di circa un terzo delle risorse complessive messe in campo dall’Europa.
Il NGEU richiede agli stati membri di presentare un pacchetto di investimenti e riforme che soddisfi in modo coerente i contenuti e i parametri fissati. L’Italia ha risposto con un Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) che delinea, in 6 missioni, un’ambiziosa strategia per l’ammodernamento del Paese.
Se si tiene conto della posta in gioco e delle sfide alle quali siamo chiamati, come Paese, per progettare e realizzare gli obiettivi contenuti nel PNRR, il quadro che si delinea è denso di luci ed ombre rispetto alla possibilità di produrre le riforme necessarie per il Paese.
Purtuttavia queste riforme, se portate a compimento, non solo sortirebbero il risultato di dare risposte concrete alle persone e invertire la tendenza al declino del Paese, ma darebbero anche un forte impulso al disegno di un’Europa più unita e stabile con le tre maggiori democrazie che procedono con lo stesso passo.
Le risorse destinate al nostro Paese, per colmare gli evidenti divari sul piano digitale, occupazionale e produttivo, non sono mai state così consistenti, ma sappiamo che non di sole risorse finanziare si nutre il processo riformatore. Il processo di cambiamento necessita di costruzione del consenso popolare, di consapevolezza del valore dell’impresa e, soprattutto di una classe politica e imprenditoriale che, con coraggio e lungimiranza, voglia rimettere in discussione assetti istituzionali logori e un impianto corporativo lento e ingessato.
Dà prova la politica, in questo momento, di possedere un pensiero lungimirante e proteso a superare l’impresa riformatrice?
La Missione 6 (e parzialmente la 5) del PNRR è volta a riformare e modernizzare il nostro Servizio Sanitario Nazionale e le nostre politiche di welfare in direzione di una maggiore inclusività, integrazione e innovazione, a partire da un assetto istituzionale che rende difficoltoso il processo decisionale (non solo in situazioni di emergenza) e incerta la catena di comando.
La Pandemia ha messo in piena luce, nonostante il nostro SSN sia stato fra i migliori al mondo, con professionisti eccellenti, una fragilità sistemica che richiede, in prospettiva futura, importanti correttivi in più direzioni.
Ovviamente il PNRR (nell’indicare obiettivi, risorse e un cronoprogramma rigoroso) non può che fornire una cornice di indirizzo che tenga conto della complessità di un’organizzazione sanitaria fortemente regionalizzata (21 SSR diversi tra loro), disomogenea e fonte di diseguaglianze e diritti negati (a partire dai livelli essenziali di assistenza).
Basti pensare ai numerosi tentativi di riforma mai del tutto decollati (Balduzzi, ad esempio) e al fatto che il PNRR ci chiede di realizzare, in 5 anni, una riforma che avrebbe dovuto produrre i suoi effetti da più di 10 anni al fine di affrontare la vera epidemia del secolo. Quella che preesisteva prima del COVID e che, se non affrontata, non consentirà al nostro sistema sanitario di fornire risposte appropriate ed efficaci al bisogno di salute degli italiani.
Mi riferisco al progressivo invecchiamento della popolazione che porta con sé un carico di cronicità e pluripatologie concentrate su un numero sempre maggiore di persone (oggi circa il 30% della popolazione che assorbe il 70% della spesa sanitaria totale) che, in mancanza di un riordino delle strutture territoriali e dell’assistenza sociosanitaria, portano ad un insostenibile quanto inefficace e dannoso sovraccarico di Pronto soccorso e Ospedali, senza peraltro sortire gli auspicabili risultati di salute.
Per poter affrontare e vincere questa sfida il PNRR indica due macro-obiettivi: 1. Potenziare il SSN allineando i servizi ai bisogni delle persone e della comunità, promuovendo un’assistenza sanitaria e sociale di prossimità, riorganizzando i servizi territoriali in modo da migliorarne la qualità e l’efficacia ed allinearci alle migliori esperienze europee;
2. Sviluppare una Sanità Pubblica che a) valorizzi gli investimenti nel Sistema Salute in termini di risorse umane, digitalizzazione e innovazione tecnologica, strutturale e strumentale b) rafforzi la ricerca scientifica in ambito biomedico.
Per quanto riguarda il primo macro-obiettivo si sono individuati alcuni strumenti essenziali per lo sviluppo di una rete di assistenza territoriale all’altezza della sfida che abbiamo di fronte. Ne descrivo, fra gli altri, i tre più importanti.
a) Partendo dal presupposto che, senza una sanità territoriale forte, la rete ospedaliera da sola non è in grado di reggere il peso dei bisogni di salute, il primo strumento è volto a dare forza ed efficacia alla rete territoriale. Uno strumento di carattere organizzativo, ossia il potenziamento del DISTRETTO (uno ogni 100.000 abitanti circa) affinché costituisca un chiaro riferimento organizzativo e identitario della comunità. Dotato di autonomia gestionale e finanziaria (al pari delle ASST che sono l’elemento gestionale delle strutture ospedaliere) dovrà garantire: il coordinamento degli interventi sul territorio, la continuità assistenziale (fra prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione), l’integrazione fra servizi sanitari e servizi sociali, il collegamento fra rete territoriale e rete ospedaliera (in ospedale solo quando è necessario), la compartecipazione alla progettazione e realizzazione della attività da parte di associazioni, terzo settore e le altre forze vive della comunità, la collaborazione con le amministrazioni locali.
b) Strumento centrale per la risposta al bisogno e la presa in carico della persona è la CASA DELLA COMUNITA’ (dimensione ottimale, seppur con differenze dovute alle caratteristiche demografiche e territoriali, una ogni 25/30.000 abitanti. Il Piano indica la realizzazione di 1.288 CdC in tutto il Paese, di cui 216 in Lombardia). Un luogo fisico ben infrastrutturato sul piano digitale, riconoscibile, visibile, accessibile 24 h/24, 7 giorni su 7.
Un luogo dove la persona viene accolta, ascoltata a supportata in tutto il suo percorso di cura, dove conoscono la sua storia clinica. Un luogo volto ad evitare il ricorso all’ospedale quando non necessario e quindi insieme agli MMG (i medici di famiglia) ci saranno anche i medici specialisti, gli infermieri, gli psicologi e altri operatori come i fisioterapisti, i radiologi, gli psicologi, ecc. in confronto costante fra di loro e con gli assistenti sociali. Una struttura dove troveranno collocazione i servizi di prevenzione, le prestazioni certificative e autorizzative, tutti gli strumenti di telemedicina, telemonitoraggio, telediagnosi, ecc. Un luogo dove vengono organizzate e rafforzate le cure domiciliari, sempre più al centro di una strategia di potenziamento della rete territoriale.
c) L’investimento mira al potenziamento dell’offerta di assistenza intermedia sul territorio attraverso gli OSPEDALI DI COMUNITA’ (il PNRR ne prevede 381 di cui 64 in Lombardia, 1 ogni 50.000 ab, entro il 2026) strutture sanitarie a gestione prevalentemente infermieristica con circa 20-40 posti letto, destinati a pazienti che necessitano di ricoveri a media/bassa intensità, a cui va garantita, per condizioni familiari e di salute, una continuità assistenziale, ad esempio, prima di rientrare a domicilio.
Per quanto riguarda invece il secondo macro obiettivo, si tratta di interventi che rivestono una notevole importanza in quanto rappresentano la condizione per la riuscita del primo macro obiettivo e presentano non poche difficolta in quanto l’attuazione della EVOLUZIONE DIGITALE richiede che tutti gli attori, all’interno e attorno al SSR (MMG, Specialisti, operatori, infermieri, amministratori, comunicatori, operatori del sociale…) collaborino a questo obiettivo, favoriscano l’interoperabilità e siano adeguatamente formati all’utilizzo delle tecnologie e degli strumenti innovativi, oltre che alla gestione e al trattamento dei dati.
Anche i pazienti insieme ai loro caregiver dovranno acquisire consapevolezza del loro stato di salute in modo da poter contribuire attivamente alle loro cure e potersi avvalere di strumenti potenti come la telemedicina, il telemonitoraggio, la telediagnosi.
Gli ambiti di intervento della seconda macro-riforma prevedono infatti:
• • L’aggiornamento tecnologico e digitale attraverso la riforma degli IRCCS,
• • Formazione, ricerca, trasferimento tecnologico e ammodernamento del parco tecnologico ospedaliero
• • Un percorso verso strutture ospedaliere più sicure e sostenibili
• • Un rafforzamento della struttura tecnologica e degli strumenti per la raccolta, l’elaborazione e il trattamento dei dati (ivi compreso il Fascicolo Sanitario Elettronico)
• • La valorizzazione e il potenziamento della ricerca biomedica
• • Lo sviluppo delle competenze tecniche, digitali e manageriali del personale sanitario.
Nella consapevolezza della grande opportunità che viene data al nostro Paese di adeguare le proprie politiche sociosanitarie ai livelli qualitativi delle migliori esperienze europee, non ci si nasconde che il percorso non è privo di ostacoli e molti sono i nodi critici da sciogliere per la messa a terra degli obiettivi.
Uno fra tutti quello della CARENZA DI PERSONALE, diretta conseguenza di anni di definanziamento del SSN, oltre che di blocco del turn over, di blocco dei percorsi universitari, di pensionamenti e prepensionamenti e, non ultimo, il forte impatto da stress indotto dalla violenza della pandemia. Un problema destinato ad aggravarsi nei prossimi anni, soprattutto in alcuni settori strategici proprio per la realizzazione delle riforme necessarie. Mi riferisco a settori come il Pronto Soccorso e le terapie intensive, gli anestesisti, i MMG, gli infermieri di famiglia e comunità che, allo stato attuale esistono solo sulla carta mentre il territorio ne è privo. C’è poi il grosso problema dei 54.000 precari arruolati per il Covid e non ancora stabilizzati.
Inoltre, nelle corsie e sul territorio, la Sanità non è solo curricula, ma anche trasferimento di dati esperienziali, relazioni, scambi di cui le giovani leve, che arriveranno negli anni a venire, non potranno avvalersi in quanto la maggior parte di chi li ha preceduti se ne sarà già andata e non potrà trasferire un prezioso capitale di know how, esperienze e conoscenze acquisite negli anni.
Il PNRR non copre le spese per il personale, neppure quello necessario per il funzionamento di CdC e OdC. Queste voci dovranno essere coperte dalla spesa corrente e richiederà l’attivazione di politiche lungimiranti e un grande sforzo di progettazione per recuperare risorse dalle opportunità offerte da un settore ad altissimo tasso di innovazione e con grandi potenzialità di crescita e di acquisizione di investimenti come quello sanitario.
Infine, non possiamo (in Lombardia) trascurare una serie di criticità legate alla peculiarità di un modello sanitario che si è progressivamente allontanato dal quadro normativo nazionale e dai principi che sottostanno alla nascita del nostro SSN, oltre che non avere similitudini in alcun altro modello regionale.
Una regione, la Lombardia, che pur misurando un preoccupante tasso di morti sul lavoro e una fra le più basse percentuali di adesione ai programmi di screening e alle attività di prevenzione, ha svuotato di personale e risorse i dipartimenti di prevenzione (che si sono dimostrati strategici non solo per la lotta alle pandemie, ma in innumerevoli altri campi fra i quali le attività per l sicurezza dei luoghi di lavoro) e li ha decentrati fra ATS e ASST limitandone l’operatività.
Negli anni sono emersi evidenti criticità legate all’assenza di integrazione fra sanitario, sociosanitario e sociale, al fallimento della presa in carico dei pazienti cronici, alla mancata realizzazione della continuità assistenziale, alla esclusione degli Enti locali da qualsiasi forma di programmazione e valutazione degli interventi di salute, alla affermazione di un ruolo del privato in sanità, cresciuto in una logica di concorrenza e non di complementarietà con la sanità pubblica, senza adeguati controlli in merito alla qualità e agli esiti di salute e al di fuori di qualsiasi logica di programmazione.
Un modello, quello lombardo, che ha progressivamente svuotato il territorio di servizi, risorse umane e finanziarie presenti, trasferendole alle ASST e agli ospedali. Un modello che, per quanto riguarda lo sviluppo di una rete di assistenza territoriale, quale quella prevista dal PNRR, deve ripartire da zero. Al contrario di altre regioni che negli anni hanno consolidato esperienze, seppur diverse, di medicina del territorio, di organizzazione in Distretti, di realizzazione di Case della Salute (o altrimenti denominate) che progressivamente si trasformeranno in Case di Comunità e Ospedali di Comunità, la Lombardia, a fronte di una previsione dal PNRR di 216 CdC e 64 OdC, non conta nessuna Casa della Salute. Diversa la situazione di Emilia-Romagna (124 strutture esistenti), Veneto (77), Toscana (76), Piemonte (71), ecc.
Sottoposta 6 anni fa a sperimentazione (ormai ampiamente scaduta) la legge Maroni ha ricevuto, l’anno scorso, dal Governo, attraverso Agenas, la sollecitazione a rivedere quelle parti non coerenti con la normativa nazionale. La cosiddetta riforma, che tanta contrarietà ha suscitato nelle opposizioni, al punto da motivare una lunga maratona ostruzionistica nel percorso d’aula, è in discussione in questi giorni, con la quasi certezza che il testo che alla fine verrà licenziato con i voti del solo centro destra sarà una “non riforma” caratterizzata dalla volontà di mantenere inalterato l’impianto precedentemente consolidato.
Ed è su questo impianto normativo che si dovranno innestare, in Lombardia, le riforme previste dal PNRR, la qual cosa non può non suscitare qualche perplessità in merito alla qualità di queste riforme e al coerente utilizzo delle risorse in campo.
Combattuta fra il pessimismo della ragione e la consapevolezza che questo treno non ripasserà una seconda volta, affido il mio stato d’animo alle parole di Michele Salvati, che nel suo ultimo libro “Liberalismo inclusivo. Un futuro possibile per il nostro angolo di mondo” riflettendo sulla possibilità di attuare subito le riforme profonde, nel sistema istituzionale, amministrativo e politico che l’UE richiede al nostro Paese ribadisce “se riflettiamo sull’elenco dei grandi problemi irrisolti; sulle tensioni politiche e sociali che si produrrebbero se venissero affrontati seriamente; sulla necessità di suscitare e mantenere per lungo tempo un consenso maggioritario su un programma riformatore, saremmo tentati dal concludere che si tratta di una mission impossible […] Le conseguenze sul sistema dei partiti sono state però profonde e sembrano aver mutato la situazione in una direzione che giudichiamo positiva: una cauta speranza che la missione impossibile diventi possibile ha un fondamento più solido di qualche mese fa. Ma indagare se esistano le condizioni che potrebbero condurre il nostro Paese a profittare appieno delle favorevoli circostanze che la crisi ha aperto è al di fuori della nostra portata […] In ogni caso, ci accorgeremo abbastanza presto se la rondine di questi primi mutamenti favorevoli stia annunciando una stabile primavera”.
Relazione scaricabile in PDF»
Video dell’intervento»

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